Pietro Valdo e il movimento dei Valdesi


Pietro Valdo e il movimento dei Valdesi

Il XII secolo vede nascere l’originale figura di Pierre Valdes o de Vaux (Lione 1140-1217), da cui Pietro Valdo, ricco mercante di Lione il quale, a seguito di una forte crisi mistica che mette in discussione valori e stile di vita fino ad allora perpetrati, sceglie di privarsi di ogni bene materiale (che distribuisce invece al popolo) e decide di vivere strettamente secondo i precetti evangelici di povertà. In anticipo di qualche anno sull’opera di Francesco d’Assisi, Pietro Valdo dà vita ad un movimento religioso, i Valdesi appunto, determinato alla predicazione dei principi di povertà del Vangelo ed estremamente critico rispetto alle gerarchie ecclesiastiche, posizioni che portano immediatamente l’ispiratore e i suoi “poveri di Lione” in conflitto con la Chiesa ufficiale. 
Nel 1177 Valdo e i suoi seguaci vengono allontanati da Lione e, benché riconosciuti da Alessandro III (1179), vengono comunque diffidati dal Concilio a praticare il loro credo e, dopo una breve parentesi di apparente riconciliazione, definitivamente banditi dalla diocesi dall’arcivescovo Jean de Bellesmains. Costretti a rifugiarsi nelle valli del Piemonte e del Delfinato, vengono condannati eretici nel 1784 dal sinodo di Vienna. Accanto al voto di povertà e la predicazione della parola della Bibbia, il valdismo sostiene il sacerdozio universale e la disconoscenza del clero come casta privilegiata: proprio a causa di questo punto apre una breccia nel popolo che, sempre più numeroso, accorre ad ingrossare le fila di proseliti. La predicazione dei Valdesi si diffonde rapidamente in tutta Europa, ma a causa delle numerose persecuzioni il numero di fedeli si riduce significativamente e il movimento tende ad insediarsi principalmente nelle Alpi Cozie, nelle valli sia del versante francese che di quello piemontese.

Si noteranno le similitudini sussistenti tra la vita di Valdo e quella di S. Francesco; in effetti il paragone è già stato più volte proposto, tanto che alcuni storici delle religioni sono convinti che se Valdo avesse ottenuto dal papa l'approvazione del suo movimento (come Francesco l'ebbe della sua regola), ora si ricorderebbe il ricco francese tra i santi invece che tra gli eretici. Di fatto Alessandro III negò alla comunità dei poveri di Lione il permesso di predicare; essi si costituirono in una confraternita regolata dai tre voti monastici di povertà, castità ed obbedienza, con un ramo maschile ed uno femminile. Il divieto non fermò Valdo né (anche in seguito alla sua morte avvenuta nel 1206) i suoi seguaci, che - sebbene scomunicati - continuarono a predicare ed allo stesso tempo a credere nella Chiesa romana indivisibile e nel sacerdozio coi suoi poteri sacramentali.

Più staccati dalla Chiesa di Roma si dimostrarono i valdesi che operarono in Lombardia; in un sinodo del 1218 la posizione di questi ultimi prevalse su quella che era stata di Valdo. A partire da questo momento il conflitto con la Chiesa ufficiale divenne aperto e si giunse a quella scissione che Valdo non avrebbe voluto. I valdesi furono più volte perseguitati duramente dall'Inquisizione, tanto che furono costretti a ritirarsi nelle campagne e poi in zone simili a ghetti, finche di essi non rimase praticamente traccia se non nel nord Italia.

Il XVI secolo è un momento di grandi cambiamenti: i Valdesi aderiscono alla Riforma, associandosi alla Chiesa Calvinista svizzera, ma mantenendo caratteri autonomi. Nel 1551 Emanuele Filiberto di Savoia sembra concedere la libertà di culto, ma a seguito della risoluzione di Augusta per cui Cuius regio eius religio ("la religione dei principi dev’essere quella dei sudditi"), nel 1559 Emanuele Filiberto, tornato in possesso dei territori sottratti dai francesi, applica la nuova norma imponendo la propria religione cattolica anche alle comunità luterane. In val del Pellice e val S. Martino scatta la ribellione: l’esercito sabaudo non riesce ad aver ragione della resistenza e nel 1561 si è costretti ad un accordo che conferisce ai Valdesi la libertà di culto, ma entro confini geografici stabiliti. I cinquant’anni successivi il ducato, ora in mano a Carlo Emanuele I, assume una nuova strategia e invano invia missionari cattolici nei territori valdesi per convertire i riformisti. Nemmeno la guerra civile tra cattolici e ugonotti riesce a far desistere il movimento pauperista dall’opera di evangelizzazione, pur nella sempre più difficoltosa assenza di luoghi di culto adatti. Solo le cosiddette "Pasque piemontesi" (25 aprile 1655) portano una risoluzione del conflitto, anche se a caro prezzo di vite umane: il 18 agosto la corte torinese firma un accordo con alcuni delegati svizzeri e l’ambasciatore di Oliver Cromwell per porre fine alle persecuzioni e "perdonare i rivoltosi", ma il divieto al culto pubblico permane.

Dal 1686 comincia per i Valdesi un periodo di continui disordini con la casa Savoia: Vittorio Amedeo II con l’editto di Fontainebleu dichiara “fuorilegge” ogni forma di religione “riformata”, demolisce tutti i templi e luoghi di riunione dei fedeli e manda in esilio pastori, predicatori e maestri. Le comunità però non cedono all’oppressione e si trovano prese tra i fuochi incrociati di francesi e savoiardi. Non raggiungendo in tempi brevi una risoluzione, il duca si trova costretto a concedere l’espatrio a numerosi esuli in Svizzera, espatrio per altro mai definitivo, per il desiderio e i continui tentativi delle famiglie di tornare ai luoghi d’origine. Tra il 1689 e il 1690 gli esiliati riescono finalmente nel loro intento, aiutati dal pastore Enrico Arnaud, trovandosi addirittura a schierarsi con le truppe savoiarde contro la Francia. Con questo accordo nel 1697, alla fine della guerra, i Valdesi rientrano nei loro territori.

Il XVIII secolo scorre per il Valdesi molto più tranquillo dei precedenti: sotto la guida di Carlo Emanuele III non possono accedere alle cariche istituzionali destinate esclusivamente ai cattolici, né celebrare il culto in pubblico, ma almeno il tempo delle persecuzioni sembra un brutto ricordo. Con il dominio napoleonico termina ogni tipo di discriminazione nei loro confronti, ma si tratta solo di un breve periodo di euforia: la liberazione del Piemonte, con la “convenzione di Cavour”, riporta la restaurazione. Solo nel 1848 con l’editto di pacificazione firmato da Carlo Alberto di Savoia viene finalmente eliminata la discriminazione verso i Valdesi. Per la prima volta i Valdesi appaiono in superficie: viene fondato un ospedale a Torino e il tempio di corso Vittorio Emanuele; sotto il regno di Vittorio Emanuele II addirittura un Valdese viene eletto deputato al parlamento. L’attività di evangelizzazione si amplifica e i Valdesi si moltiplicano, pur mantenendo una forte concentrazione nel pinerolese e in val del Pellice; ad oggi si contano consistenti comunità anche in Svizzera, Stati Uniti, Uruguay e Argentina.

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